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Materiale Didattico

La didattica inclusiva


«La scuola realizza appieno la propria funzione pubblica impegnandosi, in questa prospettiva, per il successo scolastico di tutti gli studenti, con una particolare attenzione al sostegno delle varie forme di diversità, di disabilità o di svantaggio. Questo comporta sapere accettare la sfida che la diversità pone: innanzitutto nella classe, dove le diverse situazioni individuali vanno riconosciute e valorizzate, evitando che la differenza si trasformi in disuguaglianza; inoltre nel Paese, affinché le situazioni di svantaggio sociale, economiche, culturali non impediscano il raggiungimento degli essenziali obiettivi di qualità che è doveroso garantire.»

(Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, 4 settembre 2012)

 

L'idea di salute

Nel 2001 l’organizzazione mondiale della Sanità riformula i concetti di funzionamento umano, salute e disabilità a partire dall’idea di salute intesa non come assenza di malattia, ma come benessere bio-psico-sociale.
Correlando la condizione di salute con l’ambiente, l’OmS promuove un metodo di misurazione della salute in termini di capacità/difficoltà nella realizzazione di attività, che permette di ricercare e rimuovere gli ostacoli alla partecipazione sociale e alla massima realizzazione dell’individuo.

 

Inclusione vs integrazione

Negli ultimi anni il termine “inclusione” ha cominciato gradualmente a sostituire quello di “integrazione”.
Scrive Fabio Davigo: «Il paradigma a cui fa implicitamente riferimento l’idea di integrazione è quello “assimilazionista”, fondato sull’adattamento dell’alunno disabile a un’organizzazione scolastica che è strutturata in funzione degli alunni “normali”. Viceversa, l’idea di inclusione si basa non sulla misurazione della distanza da un preteso standard di adeguatezza, ma sul riconoscimento della rilevanza della piena partecipazione alla vita scolastica da parte di tutti i soggetti.»
(T. Booth, M. Ainscow, L’Index per l’inclusione, Trento 2008)

 

I bisogni educativi speciali

I Bisogni Educativi Speciali (BES) riguardano quegli alunni che, in una certa fase della loro crescita (nel periodo di vita fino a diciotto anni), accanto a bisogni educativi normali, e cioè quelli di sviluppo delle competenze, di appartenenza sociale, di identità e autonomia, di valorizzazione e autostima, di accettazione, hanno anche bisogni speciali, più complessi e difficoltosi, talvolta patologici, generati da condizioni fisiche o da fattori personali o ambientali, che creano difficoltà di “funzionamento educativo e apprenditivo”.
Definiti così, i BES riguardano sia gli alunni con disabilità permanente certificata (DSA), sia tutti quelli che temporaneamente si trovano in difficoltà a causa di particolari condizioni personali o ambientali: perché non parlano l’italiano come lingua madre, o perché hanno subito un trauma fisico o psichico.
Una didattica inclusiva, tenta di rimuovere gli ostacoli che si frappongono tra questi studenti e la loro piena partecipazione alla vita scolastica.

 

I dati

I dati statistici forniti dal mIUR evidenziano che, nell’ultimo decennio, il numero di alunni certificati come disabili presenti nel sistema scolastico italiano è costantemente cresciuto, passando da una percentuale dell’1,7% nell’anno scolastico 2000-2001, al 2,5% nell’a.s. 2010-2011, con un incremento del 50,9% (che corrisponde a circa 64.000 alunni) a livello nazionale (fonte: MIUR). La maggior presenza di alunni con disabilità si riscontra nella scuola secondaria di primo grado (3,3%). Anche tra gli alunni stranieri sta aumentando rapidamente la quota di studenti disabili. I dati dell’ultimo anno disponibile (2009-2010) segnalano che, mentre la presenza di alunni stranieri nella scuola italiana è cresciuta mediamente del 7% rispetto all’anno precedente, l’incremento di stranieri con disabilità sfiora il 20% (fonte: MIUR).
Infine, la dimensione del “disagio scolastico” percepita dagli insegnanti e basata sulla loro esperienza diretta, supera del 2 o 3% quella degli alunni certificati, secondo l’ultimo rapporto di Associazione Treellle, Caritas Italiana e Fondazione Agnelli (2011).

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